LA MEDITAZIONE capitolo 5 ( parte 1)
Essendo la storia delle meditazione, millenaria esige almeno più di una parte nel raccontare.
Perciò il racconto della storia della meditazione, avrà più parti, e parlerò partendo dalle varie discipline orientali e dei maestri che hanno portato a noi questo insegnamento. Ma Innanzi tutto da queste e nei prossimi giorni parlerò del buddismo tibetano e buddismo Zen e la differenza tra i due.
LA MEDITAZIONE NELLA STORIA
Siddharta Gautama e il buddismo/ I veda e le UPANISHAD
Il termine Buddha in lingua pali significa "il risvegliato, colui che raggiunge l'illuminazione".
La sua missione si compie negli stessi anni in cui in Cina due giganti del pensiero e della coscienza, Lao-Tze e Confucio, pongono le basi di altri due grandi sistemi filosofico-religiosi: taoismo e confucianesimo.
Il fondatore del buddismo si chiamava in realtà Siddharta e aveva come patronimico quello di Gautama o Gotama: egli nacque in una famiglia nobile indiana, del clan dei Sakya, che risiedeva a Kapilavastu (oggi in Nepal). Nacque verso la metà del VI secolo a.C., probabilmente nel 563
a.C. Suo padre si chiamava Suddhodana e la madre Mahamaya. A 19 anni sposò la bella Yasodhara.
Gautama ottiene l'illuminazione a Bodh Gaya, sotto l'albero della saggezza, fra la venerazione degli animali e degli uccelli. |
Per un certo periodo condusse una tranquilla, agiata e felice vita domestica al riparo dalle brutture della vita, finché un giorno convinse il suo cocchiere ad accompagnarlo fuori dalle mura del palazzo. In quell'occasione si imbatté prima in un malato, poi in una vecchia e in un cadavere. Questi incontri furono per lui una specie di rivelazione: era questa la vera condizione umana al di là delle frivole apparenze della sua vita principesca. Il quarto incontro, quello cruciale, fu con un bhikkhu (monaco che aspira all'illuminazione) immerso in meditazione. L'immagine di quell'uomo restò impressa nella memoria del principe Siddhartha e fu come un presagio del cammino che lui stesso avrebbe più tardi intrapreso. Aveva 29 anni quando decise di lasciare tutto e di ritirarsi in eremitaggio. Si addentrò nella foresta, si rase il capo, indossò l'abito giallo e per sei lunghi anni andò in cerca di una risposta ai suoi interrogativi circa la natura dell'uomo. Interrogò famosi sapienti, si diede all'ascetismo più estremo: malgrado tutti i suoi sforzi però la strada della liberazione restava sbarrata. Una notte, infine, si sedette sotto un albero e promise che non si sarebbe mosso da lì finché non avesse trovato la risposta ai suoi quesiti. Sotto quell'albero combatté l'ultima battaglia, quella contro le inclinazioni e i desideri del cuore umano, la battaglia contro l'amore per il mondo, contro il desiderio dell'onore, della soddisfazione dei sensi, delle gioie famigliari, del benessere e del potere. Poi, stanco e sfinito dalla sua lunga battaglia si abbandonò semplicemente al puro "esserci". Smise di cercare, di sperare e di desiderare e, semplicemente, restò seduto ai piedi dell'albero: una pace sconosciuta all'improvviso lo avvolse, la sua coscienza divenne come un lago limpido, trasparente e immobile. Fu così che dopo quarantanove giorni di meditazione, in una notte di luna piena del mese di maggio, in un luogo noto come Buddhagaya, egli raggiunse l'illuminazione. Da allora fu noto come "il Buddha", e cioè "l'Illuminato". Aveva circa trentacinque anni. Da quel giorno percorse per altri quaranta cinque anni il nord dell'India insegnando e predicando il suo messaggio di speranza e di felicità. Buddha mori all'età di 80 anni a Kusinagara.
II Kanjur, la raccolta delle parole del Buddha, è composta da 108 volumi contenenti ben 84.000 insegnamenti; il Tenjur, i commentari stilati in epoche successive, constano di altri 254 libri, altrettanto densi di dottrina. Il Buddha prima di morire disse: "Ora posso morire felice; non c'è un solo insegnamento che io abbia tenuto per me. Tutto ciò che può esservi di beneficio ve l'ho già dato". Inoltre volle sottolineare il carattere universale del suo insegnamento, e la sua natura diversa da qualsiasi altra religione: "Non credete alle mie parole solo perché ve le ha dette un Buddha, ma esaminatele con cura. Siate luce e guida a voi stessi". Durante i 1500 anni in cui gli insegnamenti restarono vivi in India essi furono chiamati Dharma, nei successivi 1000 anni di fioritura nel Tibet furono chiamati Cho. Entrambe le parole significano "le cose così come sono". Comprendere e accettare le cose così come sono è la vera chiave della felicità.
LA MENTE
Come il fabbro raddrizza una freccia, cosi il saggio governa i suoi pensieri, per loro natura instabili irrequieti e difficili da controllare. I pensieri fremono e si dibattono per sfuggire alla morte come pesci tolti alla loro dimora liquida e gettati sulla terraferma. La padronanza della propria mente, ribelle, capricciosa e vagabonda, è la via verso la felicità. Il saggio osserva continuamente i propri pensieri, che sono sottili, elisivi ed erranti. Questa è la via verso la felicità. I pensieri, incorporei ed erranti, vagano lontano. Raccoglili nella caverna del cuore e liberati dalla schiavitù del desiderio e della morte. Come può una mente agitata comprendere la legge eterna? Se la serenità della mente è turbata, la saggezza non può manifestarsi. Il risvegliato, colui la cui mente è serena e ha trasceso il dilemma del bene e del male, è libero da ogni timore. Questo tuo corpo è fragile come un vaso di coccio. Fai della tua mente una fortezza e combatti le tentazioni con l'arma della saggezza. Ben presto questo corpo giacerà sulla terra, privo di coscienza, inutile come un ceppo bruciato. Nessuno, neppure il tuo peggior nemico può nuocerti quanto una mente indisciplinata.
Ma una mente disciplinata è un'alleata preziosa.
Nessuno, né tua madre, né tuo padre, né i tuoi amici, può esserti di altrettanto aiuto.
dal Dhammapada
Il buddismo è la religione principale in molti paesi asiatici. Anche in Occidente, soprattutto dalla metà del XX secolo, un numero sempre maggiore di persone si è accostato a questa disciplina. Buddha dedicò la propria vita all'insegnamento e incoraggiò sempre gli allievi a essere critici, a respingere il dogmatismo e a verificare in prima persona ogni aspetto della sua dottrina fondata sull'ottuplice sentiero: retta opinione, retta risoluzione, retto parlare, retto agire, retto modo di sostentarsi, retto sforzo, retta concentrazione, retta meditazione. Con la meditazione, secondo Buddha, si può produrre una profonda evoluzione interiore e riempire di gioia e significato la propria esistenza terrena.
Buddha e la meditazione
Buddha Esortava i suoi discepoli a prendere come oggetto di meditazione il proprio corpo e la propria mente. Un oggetto frequentemente utilizzato, per esempio, è la sensazione associata all'inspirazione e all'espirazione nel corso del naturale processo respiratorio. Sedersi in silenzio prestando attenzione al respiro porta, col tempo, allo sviluppo di chiarezza e calma. In questo stato mentale è possibile discernere più chiaramente tensioni, aspettative e umori abituali, e scioglierli con l'esercizio di un'investigazione delicata e al tempo stesso penetrante. Il Buddha ha insegnato che è possibile sostenere la meditazione nel corso dell'attività quotidiana, e non solo quando si siede immobili in un certo luogo. Si può portare l'attenzione sul movimento del corpo, sulle sensazioni fisiche o sul flusso di pensieri e sentimenti che si avvicendano nella mente. Questa attenzione dinamica si definisce "presenza mentale", o consapevolezza. II Buddha spiegò che la presenza mentale si esprime in un'attenzione serena ed equanime. Benché centrata sul corpo e sulla mente, è un'attenzione spassionata, non vincolata ad alcuna specifica esperienza fisica o mentale. Questo distacco è un precursore di ciò che il Buddha chiamò nibbana (o nirvana) - una condizione di pace e felicità indipendente dalle circostanze.
Nell'illuminazione la mente esprime le proprie qualità innate: libertà dalla paura, gioia e compassione: qualunque cosa accada, permane nel proprio stato naturale di serenità senza sforzo né tensione. Diverse sono le scuole di pensiero buddiste: il buddismo delle origini noto come hinayana (del "piccolo veicolo") o theravada (degli "anziani") mirava essenzialmente alla salvezza del singolo e all'eliminazione della sofferenza conseguente al karma. Nei primi secoli dell'era cristiana si diffuse il buddismo mahayana (del "grande veicolo"), comprendente molti insegnamenti sulla compassione e la saggezza: l'adepto rinuncia alla propria salvezza individuale per diventare bodhisattva, e cioè un asceta che rinuncia al nirvana per aiutare gli altri a raggiungere la salvezza. A metà del 1 millennio d.C., infine, si è diffuso il vajrayana o ("veicolo del diamante") aperta a contributi provenienti da devozioni popolari non buddhiste.
NIRVANA
Un concetto molto, molto confuso e spesso trattato in errore, che nel buddismo indica la condizione trascendente caratterizzata dalla completa assenza di sofferenza, pensiero o emozione e priva cioè dei tratti tipici dell'esistenza fenomenica individuale. La parola deriva da un verbo sanscrito che significa "raffreddarsi", "spegnersi, smorzarsi dolcemente": il senso recondito del termine è, dunque, che nel nirvana si estingue la fiamma di ogni passione umana. Con il raggiungimento del nirvana si interrompe anche il ciclo della trasmigrazione delle anime (samsara), altrimenti destinato a perpetuarsi senza tregua. Secondo la scuola buddista mahayana il nirvana consiste nel totale annientamento o non essere, raggiungibile anche in vita e dunque definibile in senso positivo, come stato perfetto di pace, beatitudine e verità, che però solo gli illuminati sperimentano. Al contrario, secondo la scuola buddista hinayana, il nirvana sfugge a ogni definizione, non si può descrivere a parole poiché coincide con la cessazione della vita individuale e con il passaggio a una dimensione "altra".
Veda significa "scienza, sapienza sacra”. È il più antico testo redatto in sanscrito tra il 1500 e il 800 a.C. e rappresenta l'insieme delle sacre scritture indù. I Veda comprendono quattro raccolte (Samhita) di testi poetici. Ad esse sono collegati anche testi di carattere liturgico (Brahmana), libri di meditazione (Aranyaka) e di speculazione filosofico-religiosa (Upanishad). La sezione principale comprende: Rigve- da, Atharvaveda, Samaveda e Yajurveda. Il Rigveda ("il Veda degli inni") è la parte più antica. È costituito da 1028 inni, suddivisi in dieci libri, dedicati a varie divinità induiste, che si concludono con una preghiera atta a ottenere benessere per l'intera comunità. Veniva utilizzato dai sacerdoti (hotar) che invocavano gli dei leggendo gli inni ad alta voce. I libri compresi tra il II e il VII si rifanno alla tradizione delle antichissime famiglie sacerdotali, i brahmani; I'VIII libro raccoglie inni attribuiti a cantori della famiglia Kanva; il IX è dedicato al dio Soma, che personifica la bevanda sacra usata nei sacrifici. Il I e il x libro sono più recenti. L'Atharvaveda ("il Veda delle formule magiche") contiene formule, suppliche, sortilegi, incantesimi amorosi ed è molto più vicino alla sensibilità e alle problematiche della vita quotidiana. Comprende in totale 731 inni e viene fatto risalire a un asceta di nome Atharvan. Il Samaveda ("il Veda dei canti, delle melodie") raccoglie 1810 strofe, che costituiscono i canti liturgici per la celebrazione dei sacrifici. Era utilizzato da cantori detti udgatar. Lo Yajurveda ("il Veda delle preghiere"), organizzato in 40 sezioni, è una raccolta di preghiere pronunciate dai sacerdoti adhvaryu responsabili delle varie operazioni manuali durante i sacrifici.
Infine fa parte dei Veda anche il Vedanga, un insieme di testi che trattano di astronomia (jyotisa), fonetica (siksa), grammatica (vyakarana), prosodia (chandas) ed etimologia (nirukta).
Le Upanishad (IX-VI secolo a.C.) costituiscono la parte finale dei Veda: per molti studiosi il loro significato è quello di "dot- trina segreta", in quanto Upanishad deriva dal termine sanscrito che indica l'atto di sedersi ai piedi del maestro (guru) per apprendere la sua dottrina.
Perlo più si tratta di scritti in prosa con qualche brano di poesia, mentre alcuni sono interamente composti in versi.
Le Upanishad hanno costituito il fondamento di uno dei sei sistemi ortodossi della filosofia indù, il Vedanta. L'argomento fondamenta- le delle Upanishad è la natura di brahma, l'Anima universale, e la sua identità con l'atman, il sé individuale. Il primo (dalla radice an, respirare) è inteso come anima individuale che determina la personalità dell'uomo, il secondo (dalla radice brh, effondersi), come forza primaria e assoluta. Tra gli altri argomenti vi sono poi la natura e lo scopo dell'esistenza, i diversi meto- di meditazione e adorazione, l'escatologia, la salvezza e la teoria della trasmigrazione delle anime.
La formula sanscrita tat tvam asi: "tu sei quello", ovvero "il cosmo sei tu, anima individuale" ben sintetizza la concezione che nell'individuo sia presente l'essenza del divino. Interpretazioni differenti del Vedanta hanno dato origine a numerose scuole filosofiche indiane: la più importante è Advaita ("non-dualità") elaborata dal filosofo indu Shankara che identificava il brahman e l'atman. L'ignoranza offusca l'anima (atman) dell'uomo rendendola poi incapace di cogliere la natura universale dell'Essere (brahman); essa percepisce quindi le cose e gli esseri viventi come entità separate e ben distinte, non comprendendo che le varie esistenze separate sono irreali: il brahman è nascosto dal velo di maya.
Il dio Shiva che danza. Rappresenta lo scorrere del tempo e della vita. |
Finché il sé individuale continuerà a cercare ostinatamente il vero Sé nel mondo fenomenico, allora rimarrà prigioniero del samsara, la catena ininterrotta di esistenze, morti e rinascite che ogni anima non illuminata subisce come conseguenza del proprio karma. È solo grazie alla conoscenza del Vedanta che l'anima indivi- duale distingue la realtà illimitata dietro al velo di maya, comprende finalmente che la propria natura è identica al brahman e raggiunge il moksha, la liberazione da samsara e karma, e infine il nirvana. Questa dottrina si è affermata rapidamente in India, favorita dalle classi dominanti, poiché attribuiva all'azione compiuta in un altra vita la causa di situazioni ingiuste, ma anche perché offriva la possibilità di migliorare la propria condizione nella vita successiva. Sul piano etico questa dottrina insegna, da un lato, la rinuncia al mondo in vista dei beni superiori della contemplazione, ma, dall'altro l'adempimento dei doveri quotidiani e degli obblighi cultuali. Grande importanza è data alla contemplazione e alla meditazione, considerata determinante ai fini dell'illuminazione.
La mente secondo il Dhammapada
Il Dhammapada è una raccolta compilata parecchi anni dopo la morte di Buddha, di aforismi tramandati come parole del maestro. Non contiene discussioni complesse e dense di dottrina dei testi più estesi ma solo lapidarie e poetiche sentenze o esortazioni, raccolte per temi ( la consapevolezza , la mente, la gioia, il piacere, l'ira ecc.) In questa raccolta più che altri testi della tradizione buddista si ha la sensazione di udire la parola viva del Buddha.
Nessun commento:
Posta un commento