Viaggio sulle orme degli Inca: da Cusco a Machu Picchu, un'avventura in Perù

Uno dei viaggi che avevo in lista da tempo era visitare il Perù, specialmente dopo aver visto la serie documentario su Netflix, "L'antica apocalisse". Non vedevo l'ora di verificare di persona l'emozione che si prova a vedere quelle antiche costruzioni, gli edifici e le mura costruite dal popolo Inca. Così sono partita dalla California e ho viaggiato in aereo fino in Perù. I miei compagni di viaggio erano Edward e Nahuel. Una volta arrivati, abbiamo incontrato i cari fratelli di Edward, Daniel e Giuly, che vivono in Perù e che ci hanno fatto da guide turistiche del posto.

PRIMA PARTE DEL VIAGGIO CUSCO 

Atterrare a Cusco è stato come fare un balzo nel passato, ma con un pizzico di stordimento dovuto all'altitudine. A 3.400 metri sul livello del mare, il fiato si accorcia, ma la vista è incredibile. Ci siamo subito armati di mate de coca, la bevanda locale che aiuta ad acclimatarsi, e abbiamo iniziato a esplorare. Cusco è una città che ti abbraccia con la sua storia. Passeggiando per le sue strade, si percepisce chiaramente il connubio tra l'antico e il moderno, l'Inca e lo spagnolo. Le fondamenta delle case sono enormi blocchi di pietra incaica, testimoni silenziosi di un impero che fu, mentre sopra si ergono palazzi coloniali con balconi intagliati. Il nostro primo approdo è stata la Plaza de Armas, un cuore pulsante di vita dove si affacciano la Cattedrale e la Chiesa della Compagnia di Gesù. È qui che abbiamo respirato





l'atmosfera autentica della città, tra venditori di artigianato e l'incessante viavai di persone. Ma il vero gioiello è stato il quartiere di San Blas, un labirinto di vicoli in salita dove abbiamo scoperto botteghe di artisti e angoli pittoreschi. Ogni passo era un'immersione nella cultura andina, con i colori vivaci dei tessuti, i sapori intensi del cibo locale e l'ospitalità delle persone. È stato qui che ho capito che Cusco non era solo un punto di passaggio per Machu Picchu, ma una destinazione a sé stante, un luogo in cui il tempo si è fermato per farci ammirare la sua bellezza immortale.



Oltre alla bellezza delle strade e delle piazze, un altro aspetto che mi ha affascinato di Cusco è la sua storia, che si può toccare con mano visitando alcuni dei suoi musei meno convenzionali.

Un'esperienza che mi sento di consigliare a tutti è la visita al Museo degli Inca. Qui, la storia non è solo raccontata, ma si sente viva. Tra reperti di ceramica, tessuti finemente lavorati e strumenti antichi, abbiamo potuto ripercorrere la vita di questo popolo straordinario. Un'intera sezione era dedicata al concetto di mummificazione, una pratica che a loro era fondamentale. Vedere le mummie, specialmente quelle dei bambini, fa riflettere profondamente sul loro rapporto con la vita, la morte e l'aldilà.

Ma la parte che mi ha davvero colpito è il Museo dei Teschi Allungati. Questo luogo, meno conosciuto ma incredibilmente affascinante, ci ha mostrato una pratica antica che mi ha sempre incuriosito: la deformazione cranica. Vedere dal vivo i teschi allungati, appartenenti a quelle che probabilmente erano figure di alto rango nella società Inca, mi ha fatto capire quanto fossero complessi e ricchi di rituali. Il museo presenta anche un'interessante spiegazione scientifica e antropologica, che cerca di dare un senso a questo rito di cui ho molti dubbi perchè semplicemente per come la vedo io stavano imitando le fattezze, probabilmente dei loro dei.  

La guida ci ha spiegato che lo scopo era probabilmente segnare l'appartenenza a una classe sociale elevata, per mostrare che si era "vicini agli dèi". È un dettaglio che rende il passato ancora più misterioso e affascinante.




Queste visite hanno reso il nostro soggiorno a Cusco ancora più significativo. Non si tratta solo di ammirare rovine, ma di connettersi davvero con la cultura che ha plasmato questo luogo, a un livello profondo e intimo.



A Cusco, ogni strada, ogni piazza, racconta una storia di due culture che si scontrano e si fondono: quella Inca e quella spagnola. È un dialogo visibile, inciso nella pietra stessa della città.


La prima cosa che ti colpisce sono le mura incaiche. Enormi blocchi di pietra, scolpiti e incastrati l'uno nell'altro con una precisione millenaria, formano le fondamenta di molti edifici. Nonostante i secoli e i terremoti, queste strutture rimangono immobili, testimonianza dell'incredibile ingegneria e del profondo rispetto degli Inca per la natura. Ti accorgi di quanto siano robuste e perfette. Camminare lungo queste strade ti fa sentire l'energia di un impero che, sebbene sia scomparso, vive ancora sotto i tuoi piedi.





Proprio sopra queste solide basi inca, si ergono le maestose chiese coloniali. I conquistadores spagnoli costruirono i loro luoghi di culto e i loro palazzi direttamente sulle rovine dei templi inca, come un simbolo del loro dominio. La Cattedrale di Cusco e la Chiesa della Compagnia di Gesù in Plaza de Armas sono gli esempi più evidenti. Con le loro facciate riccamente decorate, i portali scolpiti e gli interni pieni di ori e argenti, contrastano nettamente con la semplicità e la solidità delle mura sottostanti. È un contrasto che a volte ti fa riflettere: una cultura che ha distrutto per costruire.



Il fascino di Cusco sta proprio in questa fusione. La città non è solo un insieme di rovine e di chiese, ma un'entità unica dove l'arte, l'architettura e la storia di due mondi si uniscono in un'armonia inaspettata. È un po' come se il passato Inca e il passato coloniale vivessero fianco a fianco, raccontando a ogni passo una storia diversa, ma inseparabile. 

SECONDA TAPPA: Machu Picchu

La nostra seconda giornata è iniziata all'alba, con l'emozione che saliva a ogni tornante della strada che porta a Machu Picchu. Il bus si faceva strada tra la nebbia, e l'attesa era quasi insostenibile io che avevo anche il mal d'auto sono stata malissimo. 

Poi, finalmente, eccola: maestosa, avvolta da un'aura di mistero, la "città perduta degli Inca" si è svelata davanti ai miei occhi.

Il primo impatto è stato un'emozione indescrivibile. Le imponenti rovine si fondevano in armonia perfetta con le montagne circostanti, e ho capito che non era solo un luogo, ma un'opera d'arte, un capolavoro di ingegneria e spiritualità. Ogni muro, ogni pietra, sembrava raccontare una storia millenaria. Ho camminato tra i resti di antichi templi e piazze, sentendomi piccola di fronte a un'architettura così perfetta. Abbiamo anche incontrato dei simpatici lama che pascolavano indisturbati tra le rovine, regalandoci momenti unici e divertenti.



Visitare Machu Picchu è un'esperienza che va oltre la semplice visita turistica. È un'immersione profonda nella storia e nella cultura di un popolo straordinario. E per chiunque stia sognando questo viaggio, il mio consiglio è di andarci. La fatica dell'escursione o la levataccia mattutina saranno ripagate da una sensazione di pace e meraviglia che rimarrà con voi per sempre. È un luogo dove il tempo si ferma e dove l'anima trova un po' della sua magia.


















Tridente del mare : Ultima e terza ttappa di questo viaggio è stato visitare questo posto magico. Chiamato candelabro de Paraca. Anchr se è chiarissimo che si tratta di un magico tridente dato anche la vicinanza al mare non ho dubbi si questo! È un luogo affascinante con intorno a noi il mare.


Gli antichi astronauti in Perù

Mentre camminavamo tra le antiche rovine, una domanda continuava a ronzarmi in testa: come è possibile che un popolo senza le nostre moderne tecnologie abbia potuto costruire strutture così perfette?

A Cusco, osservando le mura incaiche, non potevo fare a meno di meravigliarmi della loro precisione. Enormi blocchi di pietra, alcuni del peso di tonnellate, si incastrano perfettamente l'uno nell'altro, senza l'uso di malta. Sembrano il lavoro di una civiltà avanzatissima, non di un popolo che lavorava la pietra con strumenti rudimentali. Molti teorici, come quelli che abbiamo visto nel documentario, sostengono che la risposta a questi misteri si trovi nelle stelle: che gli Inca non abbiano creato tutto da soli, ma abbiano ricevuto l'aiuto di una civiltà superiore, forse esseri giunti da altri mondi. È una teoria audace, ma in un luogo come questo, sembra quasi plausibile.

Questo senso di mistero si è amplificato a Machu Picchu. Posizionata in modo così strategico tra le montagne, si integra con il paesaggio in un modo che sembra impossibile per un progetto umano. Le sue terrazze, i suoi templi e la sua architettura mostrano un'incredibile conoscenza dell'astronomia. Il Tempio del Sole, in particolare, è allineato con precisione incredibile per catturare i raggi solari durante i solstizi. Chi ha dato agli Inca questa sapienza? 

C'è chi crede che un tempo, un'intelligenza non terrestre abbia trasmesso loro queste conoscenze, fornendo gli strumenti o il sapere per creare qualcosa di così grandioso.

Visitare questi luoghi mi ha fatto capire che non si tratta solo di storia, ma di un mistero affascinante che continua a sfidare le nostre conoscenze. Le rovine del Perù non sono solo pietra, ma un invito a guardare al di là di ciò che crediamo possibile e a chiederci: cosa è successo davvero qui?

Mura da vicino e tempio del sole 


L'astronomia degli Inca

Il popolo Inca non costruiva le proprie città a caso. Ogni struttura, ogni tempio, era progettato per essere in armonia con il cosmo. Per loro, il cielo non era solo una distesa di stelle, ma una mappa vivente, una guida spirituale e un calendario.

Molti storici ritengono che la stessa pianta della città di Cusco fosse disegnata a forma di puma, un animale sacro per gli Inca. Al di là di questo simbolismo, l'intera città era un osservatorio a cielo aperto. Il cuore di questa osservazione era il Coricancha, il Tempio del Sole, che oggi si trova sotto la chiesa di Santo Domingo. Qui, le finestre e le pareti erano allineate in modo che i raggi del sole penetrassero in punti specifici durante i solstizi, indicando i momenti più importanti dell'anno agricolo e spirituale. Era un luogo dove il potere del sole, la loro divinità suprema, si manifestava direttamente sulla Terra.

Ma è a Machu Picchu che la connessione con l'astronomia diventa ancora più evidente e, se possibile, più misteriosa.

Il Tempio del Sole: Come abbiamo accennato, questa struttura semicircolare è un capolavoro di ingegneria e astronomia. La sua finestra è allineata in modo tale da permettere al sole di proiettare un raggio di luce su una roccia sacra solo durante il solstizio d'inverno. Era un modo per gli Inca di celebrare la rinascita del sole e di segnare l'inizio di un nuovo ciclo.







L'Intihuatana: Questo monolito, il cui nome significa "dove si lega il sole", è uno dei misteri più grandi di Machu Picchu. Non era una meridiana, come molti pensano, ma un calendario astronomico incredibilmente preciso. Le sue angolazioni e i suoi allineamenti permettevano agli astronomi Inca di prevedere i solstizi e gli equinozi. Anche se non sappiamo esattamente come fosse usato, la sua precisione fa sorgere la domanda: come hanno potuto un popolo senza strumenti moderni ottenere una tale accuratezza?

Le finestre e le porte: Molte delle finestre e delle porte di Machu Picchu sono allineate con punti significativi dell'orizzonte, come cime montuose sacre o i punti in cui sorgono e tramontano costellazioni importanti. Questo dimostra che l'intera città era un complesso calendario e una mappa del cielo. Queste scoperte mi hanno fatto capire che per gli Inca, le stelle non erano solo luci lontane, ma un'entità con cui comunicare e da cui trarre guida. Camminando tra queste rovine, si ha la sensazione che abbiano costruito non solo per la vita sulla Terra, ma anche per dialogare con il cosmo. È questo che rende questi luoghi non solo storici, ma veramente magici e, in qualche modo, eterni.

Gli Inca avevano un modo unico e diverso di vedere il cielo rispetto a noi. Mentre noi occidentali uniamo le stelle luminose per formare costellazioni (come Orione o Sirio), gli Inca si concentravano sulle "costellazioni scure".

Per gli Inca, la Via Lattea era una divinità, il fiume cosmico chiamato Mayu. All'interno di questo fiume di stelle, non guardavano le stelle brillanti, ma le macchie scure e le nebulose. Queste "assenza di luce" formavano le loro costellazioni più importanti, spesso a forma di animali:

Il Llama

Il Serpente

La Volpe

Il Rinoceronte 

Questi animali rappresentavano le divinità e gli spiriti che guidavano le loro vite e l'agricoltura. Per loro, erano molto più importanti delle costellazioni luminose a cui siamo abituati. 


Correlazioni con costellazioni "occidentali"


Detto ciò, esistono teorie e studi che cercano di collegare le città Inca anche alle nostre costellazioni. Le Pleiadi (le Sette Sorelle): Questa costellazione era incredibilmente importante per gli Inca, che la chiamavano Qollqa (il "granaio"). La loro comparsa nel cielo notturno segnava l'inizio di importanti cicli agricoli. Si ritiene che alcuni edifici a Machu Picchu fossero allineati per osservare la loro posizione, fondamentale per decidere il momento giusto per seminare e raccogliere.

Orione e la Via Lattea: Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che il complesso cerimoniale di Sacsayhuamán, vicino a Cusco, e la stessa città siano stati progettati per riflettere le posizioni delle stelle nella cintura di Orione e lungo la Via Lattea. È una teoria suggestiva, anche se non unanimemente confermata, ma che aggiunge un ulteriore velo di mistero alla genialità degli Inca.

L'ingegneria e l'astronomia Inca sono ancora più complesse di quanto pensiamo, e la loro connessione con le stelle andava oltre la semplice osservazione, arrivando a costruire le loro città per riflettere un cielo che guardavano in un modo completamente unico e spirituale.


Ingegneria Idraulica: La maestria dell'acqua


Oltre alla precisione astronomica e alla perfezione delle loro mura, gli Inca erano maestri nel controllo dell'acqua un importante elemento naruale per loro. In un territorio montuoso come le Ande, l'acqua era una risorsa vitale per l'agricoltura e la vita quotidiana, e la loro capacità di gestirla è un'altra prova della loro incredibile ingegneria. Visitando le rovine, si possono notare ovunque intricate reti di canali e acquedotti che portavano l'acqua dalle sorgenti montane fino alle città e alle terrazze agricole. Quello che mi ha colpito è la loro capacità di calcolare la pendenza giusta per far scorrere l'acqua senza erosione, utilizzando la forza di gravità in modo impeccabile. Nonostante le pendenze ripide e il terreno roccioso, riuscivano a creare un flusso costante e controllato. È un'ingegneria che non ha nulla da invidiare a quella moderna.

A Machu Picchu, questa maestria è particolarmente evidente. L'intera città è attraversata da un sistema di 16 fontane cerimoniali e canali che fornivano acqua a tutta la popolazione, oltre a svolgere funzioni rituali. L'acqua, proveniente da una sorgente naturale sulla montagna, scorreva attraverso una serie di canali di pietra e cascate fino a una fontana principale. La precisione con cui questi canali sono stati costruiti per convogliare l'acqua su un terreno così irregolare è semplicemente sbalorditiva. Ogni fontana era una tappa di un percorso cerimoniale che collegava la città al suo elemento più sacro.

Questa ingegneria dimostra che gli Inca non pensavano solo alla forma, ma anche alla funzione. Le loro opere non erano solo belle, ma anche incredibilmente pratiche e sostenibili. È un altro pezzo di quel grande puzzle che rende il Perù e i suoi misteri così affascinanti.


Il mio viaggio in Perù è stato un'esperienza che va oltre le aspettative. Non è stato solo un'avventura per ammirare luoghi meravigliosi, ma un'immersione profonda in una cultura che ancora oggi ci sfida e ci meraviglia. Da Cusco a Machu Picchu, ho trovato risposte a domande che avevo, ma ho anche scoperto nuovi misteri, quelli che le antiche pietre continuano a custodire.

Questo viaggio mi ha lasciato con il cuore più aperto a nuove possibilità  e si sa viaggiare apre la mente. Quello che ho capito è che il Perù non è solo un luogo da vedere, ma un luogo da sentire. Sentire il peso della storia nelle antiche mura, il respiro delle Ande che ti toglie il fiato e la magia di un cielo che un popolo antico leggeva in un modo completamente unico. Ho lasciato una parte del mio cuore tra le nuvole di Machu Picchu, e so che un giorno tornerò a cercarla.

Se anche tu hai sempre sognato di camminare sulle orme degli Inca, non esitare. Anche se molto faticoso e si cammina tantissimo. Questo viaggio ti insegna che l'uomo, con la sua ingegneria, il suo spirito e il suo profondo legame con la natura, è capace di creare meraviglie che superano il tempo.


A presto Caly



Genocidi: Le storie scomode che non ci raccontano



Dalla polvere di Cartagine, rasa al suolo dai Romani, alle "marce della morte" imposte ai nativi americani, il filo rosso che unisce l'intera storia dell'umanità è un tema scomodo e doloroso: la violenza pianificata per eliminare un popolo e impossessarsi del suo territorio è sempre accaduto in passato fin ad oggi.

In questo viaggio nel tempo, esploreremo le pagine più buie della storia, dove il termine genocidio ha preso forma: dalle politiche di sterminio coloniale contro gli Herero e Nama alle atrocità del genocidio armeno, fino all'orrore industrializzato della Shoah.

Non ci fermeremo al passato. Arriveremo fino ai nostri giorni, dove la violenza assume altre forme, come il genocidio culturale in Tibet, con la soppressione della lingua, della religione e persino la violenza sulle donne, che svela una verità scomoda: la brutalità non è un'eco lontana del passato, ma una minaccia costante e tangibile.

Preparati a un percorso che ti farà riflettere e che ti costringerà a guardare la storia da una prospettiva diversa per comprendere ciò che accade oggi.




Impero romano: La distruzione di Cartagine 


Dopo aver sconfitto Cartagine nelle prime due Guerre Puniche, Roma continuava a vederla come una minaccia, nonostante il suo potere fosse notevolmente ridotto. La famosa frase "Carthago delenda est" ("Cartagine deve essere distrutta"), pronunciata dal senatore Catone il Vecchio, simboleggia il sentimento di fondo a Roma: non bastava sconfiggere il nemico, bisognava eliminarlo per sempre.

La Terza Guerra Punica (149-146 a.C.) fu la guerra finale. Dopo un assedio di tre anni, le legioni romane entrarono in città. La distruzione fu totale e sistematica. I soldati romani combatterono casa per casa, incendiando ogni cosa. La città fu completamente rasa al suolo.

La maggior parte degli abitanti di Cartagine fu uccisa durante il saccheggio. I circa 50.000 sopravvissuti furono venduti come schiavi. E Per finire, i Romani proibirono ogni futura ricostruzione, "maledicendo" simbolicamente il suolo su cui sorgeva la città per assicurarsi che non rinascesse mai più.

La distruzione di Cartagine non fu un caso isolato, ma l'esempio più estremo di una mentalità romana che considerava l'annientamento una opzione strategica.


Le conquiste di Cesare in Gallia


Durante le sue campagne (58-50 a.C.), Giulio Cesare adottò spesso politiche brutali per sottomettere le tribù locali. Massacri di massa e riduzione in schiavitù di intere popolazioni furono documentati da lui stesso nei Commentarii de bello Gallico. La sua conquista portò alla morte di oltre un milione di persone e alla schiavitù di un altro milione, con l'obiettivo di pacificare e annettere i territori alla Repubblica Romana.


Anche dopo l'instaurazione dell'Impero, l'esercito romano non esitava a radere al suolo città e a sterminare intere popolazioni per soffocare le rivolte. Un esempio fu la distruzione della città di Corinto nel 146 a.C., nello stesso anno di Cartagine, come avvertimento per altre città greche.

In questo periodo gli atti di sterminio non erano visti come un male morale, ma come una terribile necessità strategica per la sopravvivenza e l'espansione dello Stato.


L'epoca coloniale 


Periodo cruciale per comprendere i genocidi sistematici legati alla conquista territoriale. In questo periodo, le potenze europee giustificano la violenza e lo sterminio delle popolazioni indigene con ideologie di superiorità razziale ed economiche.


Il genocidio degli Herero e Nama (Africa sud-occidentale)


Questo è spesso citato come il primo genocidio del XX secolo e un chiaro esempio di sterminio per motivi coloniali.


All'inizio del Novecento, l'Impero tedesco controllava l'attuale Namibia. I coloni tedeschi confiscarono le terre e il bestiame delle popolazioni locali, Herero e Nama. Nel 1904, la popolazione Herero si ribellò.


La risposta tedesca fu guidata dal generale Lothar von Trotha, che emise un famigerato "ordine di sterminio" (Vernichtungsbefehl). L'ordine dichiarava che ogni Herero, armato o disarmato, con o senza bestiame, doveva essere ucciso.

Le truppe tedesche spinsero gli Herero nel deserto del Kalahari, avvelenando i pozzi d'acqua e bloccando ogni via di fuga. Le persone morirono di sete e di fame. I sopravvissuti furono internati in campi di concentramento, dove furono usati per esperimenti medici e lavori forzati. Si stima che circa l'80% della popolazione Herero e il 50% di quella Nama morirono.


Nativi americani: un genocidio prolungato


A differenza di un singolo evento, la decimazione delle popolazioni native in Nord America fu un processo lungo e multifattoriale, che molti storici e studiosi definiscono un genocidio.


Pulizia etnica e confisca delle terre: L'espansione degli Stati Uniti verso Ovest era guidata dalla dottrina del "destino manifesto", l'idea che la nazione avesse il diritto divino di espandersi su tutto il continente. Questo portò a politiche di espropriazione delle terre e di rimozione forzata.


Il Trail of Tears (Sentiero delle Lacrime)


Negli anni '30 dell'Ottocento, il governo degli Stati Uniti costrinse decine di migliaia di Cherokee, Muscogee (Creek), Seminole, Chickasaw e Choctaw a marciare per migliaia di chilometri dalle loro terre ancestrali nel sud-est verso l'attuale Oklahoma. Migliaia di persone morirono di fame, malattie e sfinimento.

Eventi come il Massacro di Sand Creek (1864) in Colorado, dove l'esercito americano uccise centinaia di Cheyenne e Arapaho in un accampamento pacifico, o il Massacro di Wounded Knee (1890) contro i Lakota nel Dakota del Sud, furono atti deliberati di sterminio contro non combattenti, inclusi donne e bambini.

Oltre allo sterminio fisico, le politiche coloniali miravano anche a distruggere la cultura e l'identità dei nativi. Il sistema delle scuole residenziali, dove i bambini venivano strappati alle loro famiglie e costretti ad abbandonare lingua e tradizioni, è oggi riconosciuto come una forma di genocidio culturale.


In questo periodo i genocidi erano strettamente legati alla conquista e allo sfruttamento economico, con il razzismo che forniva la giustificazione morale per le atrocità.


Eccoci all'ultima parte, quella che porta il tema dei genocidi fino ai giorni nostri. In questo periodo, la natura dei conflitti cambia: i genocidi sono spesso il risultato di ideologie nazionalistiche estreme, fanatismi etnici o religiosi, anche se la brama di controllo territoriale rimane spesso una motivazione sotterranea o un elemento di contesto.


Arriviamo ai giorni nostri 


La Shoah (Olocausto) 


Questo è l'esempio più documentato e tristemente noto di genocidio, e dimostra come un'ideologia razzista possa portare allo sterminio sistematico di milioni di persone.

 L'ascesa del regime nazista in Germania si basava su un'ideologia di superiorità della "razza ariana" e di odio profondo verso ebrei, rom e altre minoranze. Questa ideologia era strettamente legata al concetto di Lebensraum (spazio vitale), che prevedeva la conquista di vasti territori nell'Europa orientale e l'eliminazione o lo spostamento delle popolazioni locali per far posto ai coloni tedeschi.

A partire dal 1941, la "soluzione finale" divenne una macchina di morte industriale, con la creazione di campi di sterminio come Auschwitz-Birkenau, Treblinka e Sobibór. Milioni di persone furono deportate, umiliate e uccise in camere a gas.

Si stima che circa sei milioni di ebrei furono uccisi, insieme a centinaia di migliaia di rom, omosessuali, disabili e oppositori politici.


 Il genocidio del Ruanda: l'orrore in 100 giorni


Questo evento dimostra che i genocidi non sono confinati a regimi totalitari e guerre mondiali, ma possono scoppiare in modo brutale e fulmineo anche in tempi più recenti.

Il genocidio del 1994 scaturì dalle tensioni storiche tra l'etnia maggioritaria Hutu e la minoranza Tutsi. Queste tensioni furono esasperate dalla politica coloniale belga e dalle successive politiche nazionaliste dei governi Hutu.

Nell'arco di soli 100 giorni, a partire dall'aprile 1994, milizie estremiste Hutu (Interahamwe) e la popolazione civile, incitata dai media governativi, massacrarono circa  800.000 Tutsi e Hutu moderati. Le uccisioni furono perpetrate principalmente con machete e armi rudimentali, in un'esplosione di violenza di una brutalità inaudita.

Le forze di pace internazionali presenti in Ruanda furono ritirate, lasciando le vittime senza protezione e rendendo questo genocidio un simbolo della negligenza della comunità globale.



I giorni nostri 


Anche oggi, il mondo assiste a crisi in cui l'accusa di genocidio o pulizia etnica è al centro del dibattito internazionale.


Il Darfur (Sudan): A partire dai primi anni 2000, le milizie Janjaweed sostenute dal governo sudanese hanno condotto una campagna di pulizia etnica contro le popolazioni non arabe, con centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati.

I Rohingya (Myanmar): Dal 2017, l'esercito del Myanmar ha lanciato una violenta campagna contro la minoranza musulmana dei Rohingya, con accuse documentate di massacri, stupri e incendi di villaggi. L'ONU e altre organizzazioni hanno usato il termine "pulizia etnica" e, in alcuni casi, "genocidio".


L'aggiunta del genocidio armeno è fondamentale per completare il quadro dei genocidi del XX secolo. È un evento di enorme importanza storica.






Il genocidio armeno (1915-1923)


Questo evento è spesso definito il primo genocidio moderno per via della sua natura sistematica e organizzata dallo stato.


Gli armeni vivevano da secoli nell'Impero Ottomano, principalmente in Anatolia orientale. Erano una minoranza cristiana che, sebbene tollerata, subiva spesso discriminazioni. Con la Prima Guerra Mondiale e il declino dell'Impero Ottomano, i nazionalisti turchi al potere iniziarono a temere che gli armeni potessero allearsi con la Russia (nemica dell'Impero) e costituire una minaccia interna. Il governo dei "Giovani Turchi" iniziò a progettare una politica di omogeneizzazione etnica per creare una nazione turca pura.

Il 24 aprile 1915 è la data simbolo dell'inizio del genocidio. In quella notte, centinaia di intellettuali, scrittori, politici e leader della comunità armena furono arrestati a Costantinopoli e poi giustiziati. Questo servì a decapitare la leadership armena e impedire una resistenza organizzata.

 Dopo l'arresto dei leader, il governo avviò un piano di deportazione di massa. Gli armeni furono costretti a lasciare le loro case e a intraprendere marce forzate attraverso il deserto della Siria. Durante queste marce, uomini, donne e bambini morivano di fame, sete ed estenuanti fatiche. Molti furono uccisi lungo il percorso da scorte militari e milizie irregolari.

Le stime variano, ma la maggior parte degli storici e delle istituzioni internazionali concorda sul fatto che furono uccisi tra 1 milione e 1,5 milioni di armeni.

A tutt'oggi, la Turchia nega che questi eventi costituiscano un genocidio, pur ammettendo la morte di molti armeni durante il conflitto. Al contrario, oltre 30 paesi (tra cui l'Italia, gli Stati Uniti, la Francia e la Germania) hanno formalmente riconosciuto il genocidio armeno.

La questione del riconoscimento internazionale è ancora molto dibattuta e un punto di frizione nelle relazioni diplomatiche, rendendo questo evento non solo un fatto storico, ma un argomento di attualità.


E infine ci spostiamo in Oriente in Tibet


Le politiche cinesi mirano a un'assimilazione forzata che minaccia la sopravvivenza della cultura, della religione e dell'identità tibetana.

Dopo l'invasione/annessione del 1950, la Cina ha progressivamente intensificato il suo controllo sul Tibet. La fuga del Dalai Lama nel 1959 e la conseguente repressione hanno segnato l'inizio di un lungo periodo di repressione politica, religiosa e culturale.

Il governo cinese adotta diverse strategie che, secondo i critici, mirano a sradicare la cultura tibetana:

I monaci e i fedeli tibetani sono sotto stretta sorveglianza. Il governo ha imposto il controllo sui monasteri, limitato il numero dei monaci e persino tentato di nominare i propri abati, arrivando a screditare e a demonizzare la figura del Dalai Lama.

L'uso della lingua tibetana nelle scuole e nella sfera pubblica è sempre più limitato a favore del cinese mandarino. Questo ha lo scopo di indebolire il legame dei giovani con le proprie tradizioni e di integrarli nella cultura maggioritaria cinese.

Una delle strategie più controverse è l'insediamento massiccio di cinesi di etnia Han in Tibet e nelle aree limitrofe. I critici sostengono che questo sia un tentativo di diluire la popolazione tibetana e di rendere la cultura Han dominante nella loro stessa terra.

I tibetani che si oppongono a queste politiche vengono regolarmente arrestati e perseguitati. La regione è soggetta a una sorveglianza pervasiva, con telecamere, posti di blocco e una forte presenza militare per prevenire qualsiasi forma di dissenso.

Il governo cinese nega fermamente queste accuse. Sostiene che le sue politiche in Tibet mirano a modernizzare la regione, a migliorare le infrastrutture, a combattere la povertà e a proteggerla da influenze straniere e separatiste. La Cina considera il Tibet una parte inalienabile del suo territorio e considera il Dalai Lama un pericoloso separatista.

La questione tibetana rappresenta un caso emblematico di come un potere centrale possa attuare una strategia sistematica per eliminare fisicamente un popolo, e la sua identità, le sue tradizioni e il suo legame con la propria terra. Questo offre un'importante sfumatura al concetto di genocidio, allargando il campo di applicazione dal fisico al culturale.

brutale repressione della rivolta del 1959: La prima grande rivolta dei tibetani contro l'occupazione cinese fu soffocata con estrema violenza dall'Esercito Popolare di Liberazione. Si stima che decine di migliaia di tibetani, inclusi monaci e civili, furono uccisi in combattimento e nelle successive rappresaglie. Questo evento segnò l'inizio della diaspora e della repressione sistematica. Nel corso degli anni, ci sono state diverse ondate di proteste in Tibet, in particolare negli anni '80 e più recentemente nel 2008. Queste manifestazioni, spesso pacifiche, sono state represse con la forza dalle forze di sicurezza cinesi, con un bilancio di decine o centinaia di morti, arresti arbitrari e sparizioni forzate.

Un fenomeno tragico e unico della resistenza tibetana è quello delle auto-immolazioni. A partire dal 2009, oltre 150 tibetani, per lo più monaci, monache e giovani, si sono dati fuoco come forma estrema di protesta contro l'occupazione e la repressione religiosa. Questi atti disperati di resistenza pacifica sottolineano la gravità della situazione e il costo in vite umane della repressione cinese.

Le organizzazioni per i diritti umani documentano regolarmente casi di tibetani che muoiono in carcere a causa di maltrattamenti e torture. Molti attivisti e dissidenti politici scompaiono o vengono arrestati con accuse pretestuose.

Questo aspetto dimostra che la strategia cinese va oltre la semplice "eliminazione culturale" come alcuni vogliono farci credere: include anche una componente di violenza di Stato e repressione fisica che ha un costo altissimo per il popolo tibetano.


Numerosi rapporti di organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International e il Parlamento Europeo, denunciano da anni l'uso di politiche di controllo delle nascite coercive contro le donne tibetane.

Molte testimonianze, raccolte da rifugiate tibetane, raccontano di donne costrette a sottoporsi a sterilizzazioni e aborti, a volte anche in stato di gravidanza avanzata. Queste pratiche, sebbene la Cina le neghi ufficialmente, sono state documentate in diverse regioni del Tibet.

Le autorità cinesi impongono limiti severi al numero di figli che le coppie tibetane possono avere (spesso uno o due, a seconda delle zone). Le famiglie che non rispettano queste regole vengono multate pesantemente, perdono benefici statali e, in alcuni casi, i loro figli non possono accedere all'istruzione. Questo crea un forte incentivo alla conformità, che di fatto rende le politiche di controllo delle nascite non volontarie.

Le critiche sostengono che queste politiche non siano semplicemente parte di un programma generale di controllo della popolazione, ma facciano parte di una strategia più ampia per minacciare l'esistenza del popolo tibetano come gruppo distinto. Limitando la crescita della popolazione e incoraggiando la migrazione di cinesi Han, si cerca di diluire e sopprimere l'identità culturale e l'autonomia tibetana.


Questo tipo di repressione, che colpisce direttamente la capacità di una popolazione di riprodursi, rappresenta un aspetto cruciale del "genocidio culturale" di cui abbiamo parlato. Le Nazioni Unite, nella loro definizione di genocidio, includono esplicitamente le misure "intese a impedire nascite all'interno di un gruppo" come uno degli atti punibili.


Eppure sono cose che succedono ancora oggi 


Perché è importante non dimenticare


Arrivati alla fine di questo viaggio attraverso i secoli, emerge un filo conduttore doloroso e innegabile: il genocidio non è un errore della storia, ma uno strumento che si ripete. Dalla spietata logica della conquista romana che annientò Cartagine, alla cieca ideologia razzista che ha alimentato l'Olocausto, fino alle forme più insidiose e "culturali" di oppressione che vediamo oggi in Tibet, e in altre parti del mondo mai menzionate il modello è sempre lo stesso.


Queste storie ci insegnano che il genocidio non nasce all'improvviso, ma è il culmine di decisioni politiche, propaganda che disumanizza un intero popolo e, spesso, del silenzio di chi avrebbe potuto agire. Dai nativi americani agli armeni, dagli Herero ai ruandesi non è solo un atto di giustizia, ma una responsabilità. È il nostro dovere riconoscere i segnali d'allarme, sfidare i racconti di odio e vigilare affinché queste pagine di orrore non vengano mai più riscritte. Perché ignorare il passato non ci rende liberi, ma ci rende complici del prossimo capitolo che non vorremmo mai leggere.



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